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Exit strategy? È presto ma parliamone

di Laura Serafini

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20 giugno 2009

«Dobbiamo abbandonare l'illusione di una Great Moderation. La stabilità e la prosperità di cui abbiamo goduto negli ultimi vent'anni sono un ideale che non può continuare. La prosperità può essere garantita negli anni a venire solo se ci prepariamo a nuovi grandi sforzi che ci portino a cambiare radicalmente i nostri modelli di consumo e a guardare sin da ora a quali saranno i driver della crescita mondiale dopo la crisi». Jonathan Wilmot è chief global strategist per l'investment banking di Credit Suisse: fu il primo a diagnosticare la formazione di una bolla internet nel 1999 e a prevedere la successiva crisi tra il 2000 e il 2001. Nei giorni scorsi ha incontrato banche e investitori italiani per raccontare come immagina l'uscita dal tunnel dopo la grande crisi.
Agli interlocutori italiani ha rappresentato anche la sua cautela sulle exit strategies e il suo scetticismo sul reale rischio di inflazione. «È presto per realizzare exit strategies - commenta Wilmot - anche se non è presto per parlarne, perché serve a tranquillizzare gli investitori di lungo periodo sul fatto che non ci saranno fiammate inflattive». Non è pessimista per il futuro, ma le speranze di tornare alla crescita dell'economia mondiale senza eccessivi traumi a suo avviso risiedono nella capacità di guardare in faccia la realtà.

«Il crack Lehman ha innescato una situazione di panico bancario con le sue tipiche caratteristiche: la paura dei consumatori di tenere i soldi in banca, la contrazione dei consumi e degli investimenti da parte delle imprese - spiega l'analista -. Da questa fase stiamo uscendo: credo che si possa immaginare una ripresa già dall'estate del 2010. Sarà come una vampata improvvisa, perché le imprese hanno tagliato molto produzione e costi, ridotto le scorte, per cui si troveranno a doverle ricostituire in fretta. Sul fronte dei consumi, ci sarà una fase di euforia, che io definisco di "animal spirit", che porterà i consumatori a spendere nuovamente. Ma non bisogna farsi illusioni: nella mia previsione andremo incontro a una ripresa a doppia V, per cui al recupero seguirà una nuova fase recessiva, seppure meno intensa (dunque la seconda V sarà meno accentuata della prima), e solo nel 2013 si tornerà a una fase espansiva dell'economia mondiale, ma basata su modelli di crescita completamente diversi da quelli attuali e localizzata in aree geografiche come la Cina e non certo gli Stati Uniti».

Secondo Wilmot l'industria mondiale sarà in grado di recuperare tra l'estate e l'autunno del 2010 i livelli produttivi del luglio 2008, riassorbendo la caduta della produzione pari all'11% registra nel primo trimestre 2009 rispetto all'estate dello scorso anno. Secondo lo strategist non ci sono reali rischi d'inflazione dovuti alla ripresa. «Sarà importante - spiega - che i governi e le autorità monetarie riducano le politiche di sostegno dell'economia non appena la cosiddetta "private shadow money", cioè la leva finanziaria, comincerà a riformarsi nel sistema privato».
Il vero timore degli investitori oggi per un aumento dei prezzi è legato soprattutto agli alti livelli d'indebitamento pubblico raggiunti in molti paesi. «Credo, però, che i governi saranno molto attenti a non creare inflazione consapevolmente - dice Wilmot - perché questo fenomeno è terribilmente impopolare e spiega perché molto spesso i governi in carica vengono penalizzati durante le elezioni».

La ripresa nella prima V, comunque, non sarà tutta rose e fiori. «Se si tornerà ai livelli produttivi precedenti alla crisi, altrettanto non accadrà per i livelli occupazionali - osserva l'analista -. Le aziende hanno ridotto velocemente la forza lavoro per salvare i margini di fronte alla contrazione della produzione: negli States hanno licenziato, in Europa, ad esempio in Germania, si è scelta la strada di ridurre le ore lavorate o di ricorrere al part time. Con la ripresa, alcuni lavoratori in part time potranno tornare al full time, ma le aziende non torneranno ad assumere. Ecco perché il mondo dovrà cominciare a riflettere sui nuovi driver della crescita». Wilmot ne ha già qualche idea: le parole chiave del futuro saranno: politiche energetiche alternative, invecchiamento della popolazione, nuovi abitudini in tema di automobili e la sfida del digitale e delle nuove tecnologie.

20 giugno 2009
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